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INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE






Prima di trattare l’informazione e descriverla attraverso il suo sinonimo la struttura, desidero richiamare alcune modificazioni significative dal vecchio modo di formulare il pensiero attraverso la filosofia tradizionale, poi, introdurre il nuovo modo di formulare il pensiero attraverso la filosofia cibernetica e tracciare i suoi rapporti con il Bene Culturale.
Prendo come riferimento Heidegger, come in precedenza. Egli andrebbe considerato come l’´ultimoª autore che ha espresso il proprio pensiero attraverso la filosofia; infatti, ha anche paventato, nel 1965, che la vecchia organizzazione del pensiero nella forma della filosofia tradizionale iniziava ad essere soppiantata dalla cibernetica, e mi riferisco a quanto affermato nel suo breve saggio Das Ende des Denkens in der Gestalt der Philosophie [La fine del pensiero nella forma di filosofia].
La cibernetica, che deriva dal greco kubernhtikh,,  ovvero timoniere, per Heidegger, si riferisce ad un processo di controllo e d’informazione subentrato tra le sfere tematiche delle varie scienze, e che Ë inerente al controllo e al governo del timone (Steuerung) qui inteso, principalmente, come indicatore dei rapporti tra uomo (Steuermann) e mondo, e che coinvolge principalmente il carattere interpretativo, o dell’ermeneutica, del termine. Egli riporta il modo di operare cibernetico ai diversi processi di calcolo, che dalla seconda met‡ dell’ottocento iniziano ad interessare e a far riferimento all’epoca dello sviluppo della tecnica, tema anche questo caro al filosofo tedesco in altre opere ma che con la cibernetica cambia valore.
La cibernetica Ë, per Heidegger, pertanto, per il suo porsi come scienza di calcolo, non  solo la nuova scienza che unificher‡ tutte le altre scienze per il dissolversi della filosofia, ma anche quella scienza che rimpiazzer‡ la filosofia nella funzione unificatrice tra le scienze.
La filosofia si dissolve in scienze autonome: la logistica, la semantica, la psicologia, la sociologia, l’antropologia culturale, la politologia, la poetologia, la tecnologia. La filosofia nel suo dissolversi viene rimpiazzata da un nuovo tipo di unificazione fra tutte queste scienze nuove e tutte gi‡ esistenti. La loro unit‡ s’annuncia nel fatto che le differenti sfere tematiche delle scienze sono comunemente progettate rispetto ad un accadimento particolare. Le scienze sono indotte (herausgeforderet) a presenziare questo accadimento come l’avvento di un processo di controllo e d’informazione, La nuova scienza che unifica, in un senso nuovo di unit‡, tutte le varie scienze si chiama cibernetica. Essa per quel che concerne il chiarimento delle rappresentazioni che la guidano e la loro penetrazione in ogni ambito scientifico Ë ancora agli inizi. Ma il suo dominio Ë garantito, dal momento che essa stessa Ë a sua volta controllata da un potere che impone il carattere di pianificazione e di controllo non solamente sulle scienze, ma in ogni attivit‡ umana. Una cosa sola oggi Ë chiara: per mezzo delle rappresentazioni che guidano la cibernetica — informazione, controllo, richiamo  —vengono modificati in modo, oserei dire, inquietante quei concetti chiave — come principio e conseguenza, causa ed effetto — che hanno dominato finora nelle scienze.
C’Ë ancora qualcosa in pi_, aggiunge il filosofo tedesco, ovvero, che la scienza della cibernetica, non s’interessa pi_ dei fondamenti su cui si Ë strutturato il pensiero filosofico tradizionale. Essa non cerca l’unit‡ in un fondamento del sapere, questa viene ritrova, ogni volta, nel sistema operativo che si adotta nel determinare in che modo Ë avvenuta la modificazione — o anche il passaggio di un oggetto — in un ambiente. Con la cibernetica ci troviamo davanti ad una tecnica operativa controllabile, anche se non Ë rappresentabile attraverso il tecnicismo: la sua finalit‡ operativa, o di calcolo, Ë offerta dai problemi che risolve in un dato ambiente ed Ë utile a far progredire la ricerca. Nella cibernetica, dunque, la verit‡ scientifica regolarizza l’efficacia delle risoluzioni trovate.
La cibernetica, pertanto, non si puÚ definire una scienza fondamentale. L’unit‡ delle sfere tematiche del sapere non Ë pi_ l’unità del fondamento. Si tratta invece di un’unità rigorosamente tecnica. La cibernetica Ë predisposta (eingestellt) ad approntare e procurare (bereit- und herzustellen) la visuale sui processi comunemente controllabili. La potenza senza limiti ch’Ë richiesta per un tale compito, se da un lato determina ciÚ che Ë peculiare della tecnica moderna, dall’altro si sottrae a ogni tentativo  di rappresentarla ancora in modo tecnico. Il carattere tecnico delle scienze, che sempre pi_ univocamente vi s’imprime, si puÚ riconoscere dal modo, un modo strumentale, in cui esse concepiscono quelle categorie che di volta in volta definiscono ed articolano il loro ambito tematico. Le categorie sono rappresentazioni di modelli operativi. La loro verit‡ si misura dall’effetto che produce il loro impegno all’interno del progresso della ricerca.
Questi due passi citati da Heidegger inducono a prevedere come la cibernetica si sottrae al discorso metafisico sulla ‘ cosa ’ — questo discorso, infatti, Ë stato il vero luogo  del dominio del pensiero filosofico tradizionale, — e spinge a dedurre come una nuova scienza filosofica risalente a Cartesio avesse gi‡ iniziato  a dissolve l’oggettivit‡ intesa come presenza; in special mondo, per aver questo autore trovato i fondamenti della sua filosofia in quella soggettivit‡, che Ë ciÚ che sussiste di per sÈ; e, pertanto, dopo questo passaggio ora si Ë pronti ad osservare come l’´ultimoª filosofo del ’900 mostra anche che
nel frattempo, perÚ, la presenza di ciÚ che Ë presente ha perduto anche il suo senso di oggettivit‡. CiÚ che Ë presente riguarda l’uomo d’oggi come qualcosa che si puÚ sempre impiegare. La presenza, pur se ancora pressochÈ mai pensata ed espressa in quanto tale, manifesta il carattere dell’incondizionata impiegabilit‡ da parte di ciascuno. CiÚ che Ë presente non viene incontro e non permane pi_ sotto forma di oggetto, Esso si dissolve in entit‡ (Best‰nde) che debbono essere costantemente, per i fini che di volta in volta si prospettano, producibili, disponibili e sostituibili. Si tratta di entit‡ che sono richieste caso per caso secondo i differenti progetti. Esse sono poste in quanto tali secondo le loro caratteristiche. Siffatte entit‡ non hanno affatto una consistenza (Best‰ndigkeit) intesa come presenza immutabile e costante. Il loro modo di presentarsi Ë l’impiegabilit‡, che Ë contrassegnata dalla possibilit‡ di qualcosa che Ë sempre incessantemente nuovo, che Ë migliore senza sbocco del meglio.
Si noti qui come il filosofico e tradizionale interrogarsi sulla oggettivit‡ degli oggetti viene trasformato oggi, non solo per l’avvento del computer, ma per la A.I. [Artificial Intelligence] (che ha ampliato l’indagine preferendo al mero controllo il riconoscere, fin da allora, il sistema di una struttura col calcolo della funzione e dell’organizzazione), utilizzando quella verit‡ gi‡ annunciata dall’´ultimoª filosofo con la ´mera possibilit‡ d’impiego delle entit‡ª.
Il filosofo tedesco, che cercÚ di preservare un ruolo alla filosofia facendole ´fare un passo indietroª, tentÚ in tutti i modi di attribuire all’informazione una natura o realt‡ o cosalit‡ passivamente contemplante, ma, oggi, quelle distanze tra queste due discipline da lui già previste si sono ancor più acuite a vantaggio della struttura o organizzazione cibernetica, producendo una psicologia una filosofia una estetica e un’etica cibernetica autonome che stanno sopraffacendo la filosofia tradizionale e le scienze umane tradizionali ad essa collegata.
Con l’avvento della filosofia cibernetica nel 1947 venne messo in risalto l’informazione come strumento comune agli animali alle macchine. Fu in quel periodo che l’informazione, da quel momento, abbiamo iniziato a distinguerla dalla comunicazione. Da allora, innanzitutto, abbiamo attribuito alla comunicazione il tramite della distanza con cui differenziamo i due o pi_ ambiti collegati, che chiamiamo anche comunemente la sorgente e il ricevitore dell’informazione. In breve la comunicazione Ë oggi lo stabilire un contatto tra; ovvero, questo termine indica chi o cosa si relaziona, ed Ë pi_ riferito al canale che predispone le persone a ricevere messaggi, o alle macchine programmate per far da canali attraverso cui le informazioni passano. Ad esempio quando sono vicini l’emittente ed il destinatario di una informazione, la comunicazione Ë pi_ facile, perchÈ sono in relazione tutti codici attraverso cui si organizzano le informazioni.
L’informazione Ë, oggi da intendere, non solo come energia che provoca una modifica, ma Ë anche relativa alla traduzione in codice di un messaggio.
La comunicazione si riferisce ad un atto compiuto, quando, cioË, attraverso un canale si sono inviate delle informazioni ad altri.
L’uomo, infatti, svolge sempre due tipi d’attivit‡: una Ë pertinente a quella caratteristica costitutiva o individuativa delle cose, ovvero, a quelle funzioni dell’uomo che gli permettono di percepire, individuare, rappresentare, categorizzare, pensare, organizzare, sistematizzare, ecc., il cui processo Ë tutto segnato all’interno di un percorso individuale; e, l’altra, si attiva quando egli (come essere umano pensante) interviene sulle cose fisiche trasformandole o costruendo nuove forme che possono essere riconosciute (come ad esempio oggetti, o utensili) dagli altri. Attraverso quest’ultima attivit‡ si puÚ rendere palese anche come si generano nuovi atteggiamenti nei confronti della vita e, inoltre, si puÚ osservare come una nuova regola o un nuovo utensile modifica quell’ambiente in cui l’uomo produce azioni. Il linguaggio, cosÏ come lo conosciamo fino ad oggi, poi, ha permesso di rendere partecipi gli altri viventi umani delle proprie idee, o ha consentito loro di comunicare le sistemiche delle proprie strutture informative (o strutture logiche del logos); pertanto, da ciÚ si deduce che basta impegnarsi in un progetto verbale dialogico, o nella traduzione di ciÚ che si Ë compreso di un azione, o come questa si riconverte in una forma di linguaggio, o di una scrittura organizzata in un codice comune, o quali nessi un sistema biologico vivente adotta per descrivere un evento, che gi‡ ci troviamo coinvolti in un atto di trasmissione di informazioni in un ambiente.
Le cose sarebbero incomunicabili se rimanessero intime o personali, ma una volta codificate in messaggi e, questi, trasmessi ad altri, esse diventano percepibili attraverso la nostra attivit‡ di trasformazione: come ad esempio agitando gli arti in una danza, modulando suoni con la voce, tracciando grafie sulla carta, usando i tanti codici per costruire quelle informazioni con cui l’uomo trasmette il proprio organizzare la vita in un ambiente spazio-temporale indivisibile.
In ogni ambiente, per ricevere una qualsiasi informazione che passa per  un canale, si ha bisogno di due condizioni perchÈ questa sia recepita: avere comuni codici di trasmissione e di ricezione ed essere abili nel riconoscere o tradurre le informazioni. Tra queste due parti — emittente e destinatario — che sono messi in comunicazione, il messaggio segna una differenza che Ë percepibile ed individuabile col passare dell’energia che si trasforma (o si traduce) nel messaggio, una volta che si riconosce il codice attraverso cui l’informazione Ë stata emessa; questa energia, infatti, appare come una informazione organizzata ed utilizzabile solo quando produce o genera un cambiamento nell’ambiente dove essa si Ë riversata come energia (questo Ë verificabile attraverso le osservazione che tratta la scienza dei sistemi che ha trovato dei culmini in Prigogine, Van Foester, Maturana e Varela, con lo studio della cosiddetta creazione autopoietica dell’ordine dalle fluttuazioni).
Ogni cambiamento deve essere percettibile e trovare riscontro in altri codici. CiÚ comporta che tra coloro che si mettono in relazione e instaurano una comunicazione va riconosciuta (almeno per uno) l’avvenuta trasformazione di una situazione; e, pertanto, si deduce che con il rilevare un cambiamento il giudizio su un evento trasforma fisicamente sia l’interpretazione e sia la percezione della situazione esistente: anzi, solo cosÏ, Ë possibile affermare che l’informazione introduce sempre una nota che si riferisce a una transizione di un evento o ad una chiara modifica nell’ambiente. Questa modifica puÚ intaccare o le relazioni o le organizzazioni semantiche o sintattiche che danno una connotazione all’ambiente; basta ad esempio cambiare punto di vista e ci si puÚ trovare in un’altra analisi o con un’altra disposizione relazionale nello stesso ambiente, o, se si segue il solo flusso energetico dell’informazione, si puÚ rilevare la frequenza o l’intensit‡ partecipativa o di analisi con cui si percepisce l’accadere di quell’evento di cui si viene informati, o del quale si vuole informare gli altri.
L’informazione ha oggi questa caratteristica, Ë struttura d’energia che contiene messaggi decodificabili con i quali si puo' modificare la percezione dell’ambiente operativo e, grazie agli studi a partire dal 1987 condotti da scienziati della AI, o da fisici, o da studiosi della biologia sistemica o da psicologi e studiosi del cervello o da nuovi filosofi che, in modo riduttivo, sono stati chiamati filosofi della mente, come Minsky, Hofstadter, Searle, Maturana, Varela, Damasio, Dennett e Morin, l’informazione Ë diventata l’elemento fondante di ogni forma di organizzazione semplice che emette e riceve messaggi e si Ë separata da come viene concepita la comunicazione che Ë innanzitutto il condividere un codice e che fa da tramite tra, che collega interpretazioni di azioni; anzi la comunicazione, per le sue implicazioni di essere stata usata anche per determinare esperienze metafisiche, in un mondo dove tutto Ë organizzazione di una fisicit‡ riferibile al sentire e al riconoscere dell’estetico, ha perso, come il vecchio modo di pensare la filosofia, dovunque quel suo potere di unica verit‡ (metafisica) di trasmissione e di ricezione di un sapere assoluto o oggettivo.
Tutte le informazioni, vanno oggi verificate in base alla sistemica operativa e agli effetti che producono nell’ambiente: si osserva, pertanto, in che modo quelle informazioni sono ascrivibili ad una variet‡ di casistiche d’interpretazione di dati teorici, in che modo la loro energia di trasformazione viene impiegata nel luogo dove l’uomo, l’animale  o la macchina che emettono informazioni in quel momento operano, e, inoltre, se tra ricezione e risposta — di queste informazioni — non intercorre un tempo molto lungo. Ecco che, per velocizzare la trasmissione delle informazioni, ci si avvale dei dispositivi, che non sono altro che delle strutture operative ed interpretative precedentemente organizzate, che si aprono attraverso canali tecnici e producono o immediate azioni nell’ambiente di relazione, o stimolano solo un riconoscimento attraverso il feedback [o retroazione]. Lo studio dei sistemi percettivi degli uomini ha indotto gli studiosi ad utilizzare alcuni sviluppi di programmi per operazioni logiche in macchine dotate di A.I., per aprire canali d’energia e innescare dispositivi logico-operativi utili per delle funzioni o per il comando a distanza di automi o per assemblare macchine robotiche ecc.
Come ho scritto altrove, questa nuova filosofia s’impone specie quando si assume ´il problema della vita e della sua trasmissione e conservazione attraverso l’informazioneª.
Sono nati, nel campo della sistemica sociale e in quella individuale, degli studiosi che s’interessano esclusivamente delle forme organizzate in informazioni. Essi hanno costruito test psicologici o sociologici in base alle informazioni o al modus ponens di un individuo di fronte ad eventi per studiare gli orientamenti e le reazioni delle persone nella ricezione e traduzione di messaggi.
La stessa comunicazione, oggi, deve presentarsi come una sistemica operativa altrimenti non viene nÈ studiata nÈ riconosciuta. Bisogna ricordare, inoltre, che essa Ë relativa anche al passaggio di una serie d’informazioni che rimandano ad una organizzazione pi_ complessa in cui alcune funzioni diventano struttura. Ogni comunicazione, comunque, va sempre tradotta in un dispositivo operativo. Da qui si deduce, ancora una volta, che anche la filosofia contemplativa ha ragione di esistere nel mondo delle informazioni se non diventando una struttura di pensiero attraverso cui si producono azioni.
Qualsiasi principio trovato, cosÏ, deve produrre un atteggiamento o una soluzione attiva da prendere nei confronti di un atto; e, quello, per essere assunto, deve dimostrare come ad esempio si modifica la percezione o il nostro modo d’agire, o come ci aiuta meglio a sfruttare ed a semplificare i disturbi di comunicazione che avvengono nei canali, attraverso cui passano le informazioni. Al sorgere del problema delle comunicazioni tra individui o nei corpi sociali, negli anni ’70 e ’80, si Ë assistito al nascere in Italia di corsi di laurea ad esempio in branche della linguistica, della psicologia, della semiotica e della sociologia, in quanto l’argomento investe i problemi fondamentali del comportamento di un individuo, delle masse (insieme d’individui non organizzati) e delle popolazioni (insieme d’individui appartenenti ad un’organizzazione come stato, citt‡, partito politico, organizzazione sindacale, ecc.) e del loro modo di comunicare.
Era un fatto noto, gi‡ allora, che nei sistemi sociali per cause psicologiche o ideologiche si potevano formare delle ´barriereª per il passaggio delle informazioni, che potevano essere anche dovute ad un disturbo tecnico della trasmissione ed impedire che si potesse instaurare una comunicazione.
Le ´barriereª, infatti, impediscono completamente lo stabilirsi di una ´comunicazioneª, nonostante che il sistema informativo sia stato codificato in modo tecnicamente corretto e vi sia stato una ´trasmissione d’informazioneª.  Una trasmissione d’informazione che non genera alcun effetto, Ë perchÈ l’informazione non ha instaurato con un organismo di ricezione alcun atto comunicante; e, pertanto, si deduce che vi Ë una barriera che s’interpone tra il ricevente  e l’emissario del messaggio. Esempi di tali ´barriereª sono oggi studiate e rimosse specie nelle organizzazioni industriali. Tanto che gli esperti di organizzazione aziendale si avvalgono sempre pi_ di programmi computerizzati (se sono macchine ´intelligentiª) o di test attitudinali o psico-sociologici (se sono messaggi indirizzati a sistemi biologici umani) con cui velocemente si possono individuare e rimuovere tali ´barriereª nei pi_ frequenti ´ingorghi comunicativiª, causati da uomini o da programmi di macchine, che ritardano o impediscono la comunicazione anche di semplici dati tecnici.
In letteratura e nelle scienze cognitive con l’approfondimento dello studio del linguaggio s’iniziÚ a dare maggior peso al contesto in cui venivano usati i segni linguistici. Questi segni si avvalevano di una particolare organizzazione lessicale significante, e venivano usati per riportare in codice uno specifico apparato di azioni significanti, con cui la linguistica strutturale metteva in relazione l’informazione alla struttura del linguaggio in modo che potesse verificarsi la comunicazione. Con esso codice, prende forma l’azione prodotta da un flusso energetico e determina il dispositivo che induce ad organizzare una soglia percettiva dell’individuare o del sentire spiegate attraverso le strutture logiche del logos.
Il segno, per la semiotica, fu assunto come elemento fondante l’intero processo di comunicazione. Esso Ë usato per trasmettere un’informazione, col dire o manifestare o indicare qualcuno o qualcosa che qualcun altro o puÚ riconoscere, o vuole che si sappia che, in base ad indicatori, si puÚ riconoscere dove si trova o cosa in questo momento fa.
Il segno, altra unit‡ minima d’informazione, determina un processo di comunicazione del seguente tipo: fonte Þ emittente Þ canale Þ messaggio Þ destinatario; dove Þ significa implica o causa il passaggio a.
Questo schema sequenziale Ë qui molto semplificato perchÈ, quando un messaggio Ë passato per uno dei punti bisognerebbe che si analizzassero anche quali ´barriereª (o difficolt‡) ha dovuto attraversare, ovvero, come si sono comportati nel passaggio a i mediatori rispetto sia alla sua funzione di ordine tecnico, che di amplificazione o di rilascio del messaggio, fino poi al raggiungimento del destinatario il quale esercita il riconoscimento finale sul segnale-informazione.
Quando oltre cinquanta anni fa la struttura linguistica fu tradotta in programma di calcolo per un’unit‡ operativa meccanica; ovvero quando l’informazione fu trasmessa a sistemi logici che erano costituiti in dispositivi (o circuiti) per macchine di calcolo fu un grande successo per la tecnica e la comunicazione. Ci si Ë, poi, avvalso di macchine che elaboravano calcoli sempre pi_ complessi e, con l’avanzare degli studi dei linguisti dell’A.I., ora le macchine traducono facilmente in informazioni i rilevamenti attraverso le strutture logiche. All’inizio, queste macchine operative riconoscevano [attraverso il processo di feedback o retroazione] solo attraverso informazioni gi‡ programmate e inserite nella loro memoria come dispositivi tecnici precedentemente misurati. Oggi le informazioni consentono a un plotter o a un pi_ sofisticato robot di compiere delle azioni in un ambiente automatizzato, e vi sono macchine di calcolo che nel nostro quotidiano interagiscono con gli umani e comunicano con essi. Fu proprio verso il 1968-70, che si ebbe l’esigenza di distaccare l’informazione dall’essere un sinonimo di comunicazione, e quella acquisÏ in particolare il significato oltre alla trasmissione di un dato tecnico e di calcolo o di un modo di fare esperienza, quello di costruzione di un dispositivo di riconoscimento o programma: qui mi riferisco specie agli automatismi che s’instaurano come dispositivi di funzioni, tra se… e allora…, per intenderci, nel redigere un programma per il computer, quello che comunemente ancora oggi chiamiamo software, per distinguerlo dalla vecchia ferraglia l’hardware che allora non era ancora dotato di sensori, o di un ´corpus appercipiendiª che permetteva di fare esperienza nell’ambiente esterno (affermo ciÚ perchÈ nella nuova robotica la macchina inizia ad essere dotata di sensori per riconoscere ed interagire con l’ambiente in cui opera).
La comunicazione non perse il riferimento alla sua cifra metafisica del pensiero con l’indicare il controllo e la trasmissione d’informazioni, ma divenne anche una struttura complessa per il collegamento ai principi della vecchia filosofia; mentre l’informazione acquisÏ il dato di essere considerata una struttura operativa, e divenne anche metafora e tropo di chi organizza e tratta la propria conoscenza prima di comunicarla attraverso un codice.
L’importante allora non era cosa comunicare, ma come far passare l’informazione attraverso le varie barriere che venivano erette nel canale in cui era introdotto un messaggio.
La cibernetica divenne, cosÏ, la scienza filosofica di riferimento perchÈ studia le informazioni con cui comunicano uomini, animali e macchine, come ha affermato Wiener nel suo famoso testo.
Quando, poi, con la scoperta del DNA di J. D. Watson e F. H. C. Crick si iniziÚ a trattare l’informazione come sinonimo di struttura; l’informazione da dato semplicemente linguistico o tecnico da trasmettere ad una macchina per la comunicazione umana divenne anche dato costitutivo dell’organizzazione fisica e biologica dell’uomo.
Da allora, divenne palese come qualsiasi struttura logica, umana animale o di computer, Ë individuata come un sistema informativo in cui circola energia. Si sa che un corpo, attraverso dei dispositivi, attiva e percepisce, o dischiude mondi cognitivi e operativi (qui nel senso di azione pi_ che solo di calcolo) alla propria fisicit‡ autopoietica.
Altrove ho, infatti, spiegato come il segno e l’informazione insieme al relativo canale di trasmissione sono le strutture elementari su cui si fonda il nostro sistema comunicativo.
Conoscere le parti costitutive di un sistema complesso va bene, ma all’origine di tutto vi Ë l’informazione che Ë l’unit‡ minima di trasmissione ed Ë l’elemento cardine su cui si fonda la nostra comunicazione verbale e non. Minsky nel suo pi_ famoso libro, di psicologia e di sistemica bio-cibernetica, rifacendosi proprio agli studi sui geni di Watson e di Crik, afferma che i frame (agenti intelligenti), organizzano le informazioni secondo la psicologia della molteplicit‡ degli Io nel mondo degli uomini e delle cose.
Se tutto il mondo Ë organizzazione d’informazioni e passaggio d’energia — secondo le conoscenze fisico-meccanico-biologiche della filosofia cibernetica —, di cui il frame Ë l’unit‡ minima, sarebbe pi_ veritiero sostenere che il nostro sistema di “realt‡” e di “identit‡” — per dirla con termini della trascorsa filosofia — sia strutturato ogni volta in base ad una selezione momentanea, scelta tra una molteplicit‡ di io all’interno delle strutture biologiche viventi umane.
Tutti gli autori coevi da me citati, in breve, parlano d’informazione che puÚ essere analizzata e trasmessa e che puÚ generare conoscenza relativa ad un ambiente e ad un’organizzazione linguistica (io aggiungo, senza che alcuno possa trovare da ridire, computazionale) che produce azione.
La comunicazione ormai ha assunto un valore generico o Ë stata relegata ad un accadimento metafisico che descrive il passato trasferimento della conoscenza, mentre l’informazione Ë l’unit‡ di trasmissione e di energia che modifica o specifica il rapporto relazionale tra sistemi biologici viventi organizzati.
Il nuovo trasferimento di conoscenza trova la sua realizzazione e fondamento solo nella trasmissione e nel passaggio dell’informazione, ed Ë raro che si perda nella riflessione sull’apparato sistemico che produce la comunicazione, essendo questo gi‡ dato nel programma, o dispositivo.
Le critiche che si leggono spesso contro le strutture comunicanti, oggi, non tengono conto minimamente che esse sono dissipate gi‡ nel semplice passaggio del loro tradursi in informazione attraverso un canale. Gli stessi dispositivi ergono una barriera di rumore, perchÈ la loro struttura Ë inadatta a trasmettere velocemente nei nuovi canali comunicativi l’informazione; in questo modo si determina un cattivo passaggio della propria informazione che non produce comunicazione, ma solo rumore.
Bisogna studiare i dispositivi e intervenire sulle strutture logiche del logos che attraverso essi passano: diventa, perciÚ, quasi inutile oggi scagliarsi ´contro la comunicazioneª.
CiÚ che qui si vuole affermare Ë che sono pochi coloro che traducono il loro pensiero filosofico tradizionale in informazione attraverso i nuovi dispositivi creati dalla filosofia cibernetica, come ad esempio Ë accaduto per l’indiscusso filosofo linguista e politologo Noam Chomsky.
Due sono al momento gli sviluppi possibili dell’informazione: da una parte si cerca di trasmetterla in modo sempre pi_ veloce, di trasferirla senza rumore e di studiarne i vari processi di elaborazione; dall’altra si cerca di apprendere come essa forma i nuovi processi di conoscenza grazie ai passi fatti nella scoperta dell’organismo biologico, nelle nuove strutture operative gestite dalle macchine intelligenti, e ora confluiti anche negli studi di bio-robotica.
Il fine di distinguere l’atto del comunicare dall’atto di costruire informazioni Ë per indagare su come si crede oggi che si stabilisca una comunicazione e chi costruisce i messaggi e attraverso quali canali passa prima che sia stabilita.
Questo fatto assume una importanza primaria da quando McLuhan, studioso dei media, negli anni ’60 del secolo scorso quando ha affermato dimostrando che ´il medium Ë il messaggioª. Questo comporta che le informazioni che passano attraverso i canali comunicativi vanno confezionate in base alle esigenze di quell’attraversamento (cioË bisogna tener conto dei media che si usano); altrimenti c’Ë il rischio che non s’instaura la comunicazione, perchÈ durante il percorso si annidano delle barriere, o dei disturbi, che impediscono all’energia di proseguire in modo compatto, o non la fanno passare del tutto, e, pertanto, il messaggio o perde la sua coesione e non viene riconosciuto nella sua organizzazione originaria o non giunge proprio a destinazione: in questo modo l’informazione non fa da tramite all’atto del comunicare. L’informazione oggi Ë tale solo se viene riconosciuta ed utilizzata, anche perchÈ potrebbe essere perennemente presente in un canale (come ad esempio nella rete attraverso un blog, o un sito web,) e mai impiegata perchÈ non compresa o non considerata adatta per il proprio sistema operativo. Altre informazioni possono essere utilizzate anche senza che si conosca chi ha emesso i messaggi. Per affermare che ogni informazione Ë considerata e trattata come messaggio, oggi, va verificato quando l’atto riconoscitivo si trasforma in atto autopoietico nelle organizzazioni logiche del logos delle macchine intelligenti. Da qui sorge anche il problema dell’esistenza e della funzione operativa di una coscienza e di come riprodurla o trasferirla in una macchina cosiddetta intelligente. Quando qualcuno spiegher‡ logicamente i meccanismi di come sorge un comportamento di coscienza esso potr‡ essere trasferito ad una macchina, perchÈ per la prima importante legge che s’insegna ad un giovane programmatore di robotica e di I. A.: tutto ciÚ che Ë spiegabile Ë programmabile. Anche questo rientra nella sfera della informazione, che si trasforma in comunicazione attraverso un canale e un codice comune ad un ambiente che viene riconosciuto per mezzo di un’azione di modifica, e sempre per l’uso di dispositivi autoreferenziali.

 
 
  GIUSEPPE SIANO


LE FAIT ET L'ACTE
(A propos d'un fait-divers)



    La prudence ne cesse d'arracher l'acte au fait. Historiquement, le grammairien ne cesse de nous rappeler que l'usage de ces deux termes n'a cessé de changer et le rapport des des deux termes d'être modifié (mais il ne s'agit pas ici de philologie). Si les deux termes appartiennent l'un et l'autre (entre autres) au champ judiciaire, le fait (ce qui est accompli) a le même rapport avec la photographie que l'acte avec la peinture. Autrement dit, si le fait est documentaire, l'acte est encore conditionné par les circonstances qui en rendent l'usage possible, et à la position de de celui qui l'énonce. Mais les deux activités se font bien sûr concurrence plutôt que l'une ne se contente de remplir un rôle abandonné par l'autre.
    Prenons, pour être plus clair, un exemple. J'ai un accident de voiture. (J'ai eu réellement il y a quelques mois un accident de voiture). Assez grave (il y a eu mort d'homme) pour mobiliser la police judiciaire. Un photographe assermenté (les documents qu'il fournira constitueront devant un éventuel tribunal des preuves quant au fait. L'authenticité de l'acte est, elle, indiscutable ; il y a bien eu un accident, il est admis comme un a priori - la suite prouvera que l'accident a été organisé, mais ceci est, si j'ose dire, hors débat). Un photographe donc "mitraille" le mouvement des voitures qui se sont percutées et mille détails (dont le photographe est le seul à connaître l'importance (mais il n'en est que le marqueur ; il ne peut rien en déduire). On mesure facilement que son travail n'a pas pour seule fonction d'illustrer ou de narrer, de même que, dans la peinture classique, le lien de l'élément pictural et du religieux  est mal défini par l'hypothèse d'une fonction figurative qui serait simplement sanctifiée par la foi la plus fervente.
     Revenons à notre accident de voiture : la police a fait revenir du dépôt sur les lieux (Bd Richard Lenoir à Paris) les trois voitures accidentées, toutes bonnes pour la casse ; c'est leur dernière et lamentable parade (la Peugeot conduite par un alcoolique, la Saab par ma compagne et une Ford dont je n'ai jamais eu l'honneur de connaître le malheureux propriétaire) : la voiture conduite par notre éthylique, gravement endommagée sur sa partie avant gauche, la Saab dont je viens de parler (conduite à la minute de l'accident par ma compagne - je suis le seul survivant de cet accident) comme crevée sur sa partie gauche et la dernière voiture, en stationnement lors de l'accident, compressée entre entre la Saab et un arbre. Voici les faits. Pensons aux actes qui sont les éléments d'une mise en scène  : l'espace supposé être le lieu de l'accident (les experts discutent, pinaillent, relèvent sur des plaquettes des traces de pneu, etc. Je dis "supposé être" puisque, dans le champ de l'action, on peut imaginer que celle-ci a commencé dix mètres plus haut ou dix mètres plus bas, et les dix mètres (dans l'hypothèse de l'accident volontaire) peuvent donner lieu à des interprétations du fait radicalement différentes.
    Les projecteurs sont allumés La scène est reconstituée approximativement à l'heure à laquelle l'événement s'est déroulé : deux heures du matin). L'officier de police qui s'est placé à ma droite, à la façon d'un metteur en scène, demande à ce que les deux voitures soient poussées, tractées en l'occurrence, l'une vers l'autre. (Un autre policier se tient à ma gauche. Dans la mesure où je suis le seul survivant, je deviens, dans la logique policière, automatiquement un suspect.) L'acte a disparu. Il supposerait un sujet de l'action qui, outre mort, a été déclaré, dans le vocabulaire policier, "ayant perdu le contrôle de son véhicule". Dans un grincement de tôles et de roues - dans quel état - qui n'ont plus que leur moyeux (le photographe photographie) les deux voitures se rapprochent lentement l'une de l'autre jusqu'à approximativement  s'emboiter. (Dans le récit de ce fait-divers, mais il faudrait des pages pour expliquer en quoi cela nous concerne, le point exact d'impact des deux voitures est de première importance.)
    Ce ne sont plus un mais deux photographes qui tournent autour de cette danse funèbre. Que représentent les photos ? (Il me faut longuement insister auprès du commissaire pour avoir accès aux clichés. Je suis comme le garde du corps de Lady Di - c'est ce que j'explique à l'officier de police que j'imagine grand lecteur de Paris Match : j'ai tout oublié des derniers dixièmes de seconde précédant le choc. Je suis suspect et témoin. On y consent.) Les photos se divisent horizontalement en deux parties, inférieure et supérieure, terrestre et céleste. Dans la partie basse, une figuration ou narration qui représente le film au ralenti d'un choc de deux véhicules ordinaires, bien que tous les coefficients de déformation, et notamment d'allongement, soient déjà là. Mais, en haut, c'est une libération folle, un total affranchissement, les figures se dressent et s'affinent sans mesure, hors de toute contrainte. Malgré les apparences, il n'y a plus d'histoire à raconter, les figures sont délivrées de leur rôle représentatif : un athéisme proprement pictural où l'on peut prendre à la lettre l'idée que Dieu ne devait pas être représenté, sous toutes les formes qu'on peut lui imaginer. Et, en effet, avec Dieu, avec le Christ, avec la Vierge, avec l'Enfer aussi, les lignes, les couleurs, les mouvements s'arrachent aux exigences de la représentation. La frondaison (les arbres du Bd Richard Lenoir) se dresse ou se ploie, libérée de toute figuration. Elle n'a plus rien à représenter, à narrer elle n'a plus rien à faire avec des sensations "célestes" (je m'en souviendrai lors de l'inhumation d'I. (la conductrice de la Saab) sur les hauteurs du lac de Côme), infernales ou terrestres. On fera tout passer sous le code qui permettait de faire la différence entre le fait et l'acte, on peindra le sentiment religieux de toutes les couleurs du monde. Il ne faut pas dire : "Si Dieu n'est pas tout est permis". C'est juste le contraire. Car, avec Dieu, tout est permis. C'est avec Dieu que tout est permis. Non seulement moralement puisque les violences  et les infamies trouvent toujours une sainte justification. Mais esthétiquement, de manière beaucoup plus importante (c'est le Dieu de la Genèse qui confond l'acte et le fait ; les dieux de l'Antiquité se sont lassés devant tant de rouerie) : le dessin et la photo sont animés d'un libre travail créateur, d'une fantaisie qui se permet toute chose.
    On ne peut pas dire que, dans la peinture ancienne, le sentiment religieux soutenait la figuration. Au contraire, il rendait possible une libération des figures, un surgissement des figures hors de toute figuration. On ne peut pas dire non plus que le renoncement à la figuration soit plus facile pour la peinture moderne. Au contraire la peinture moderne  est envahie, assiégée par les photos et les photos qui s'installent déjà sur la toile (à la façon de notre photographe "assermenté" élaborant une "bande photographique" avant même que le peintre ait commencé son travail. En effet, ce serait une erreur de penser que le peintre travaille sur une surface blanche et vierge. (Baudelaire n'avait peut-être pas encore entrevu  la portée de l'illumination qui le saisit lorsqu'il parla de "correspondances".) La surface est dé"jà toute entière investie virtuellement par toutes sortes de clichés avec lesquels il faut rompre. La photographie n'est pas une figuration de ce qu'on voit, elle est ce que l'homme moderne voit. (De même que la mort nous soustrait aux êtres qui nous sont chers, la photographie, avec bonheur, nous restitue les invisibles. Nos vies sont dans cet entre-deux.) Elle n'est pas seulement dangereuse parce que figurative, mais parce qu'elle pétend régner sur la vue. Ainsi, ayant renoncé au sentiment religieux, mais assiégée par la photo, la peinture moderne est dans une situation beaucoup plus difficile, quoiqu'on en dise, pour rompre avec la figuration.


LLAURENT CHEVALIER

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